Storytelling come strumento di marketing, il caso John Lewis

Storytelling come strumento di marketing, il caso John Lewis

“Mille non più mille” recitava una vecchia credenza biblica secondo cui durante l’anno mille sarebbero avvenuti fatti terribili, avversità e disgrazie che avrebbero definitivamente portato alla fine del mondo. Qualche secolo più tardi Nostradamus invece individuò nell’anno 2000 la scongiurata discesa dal cielo di un Re del Terrore che avrebbe rappresentavano la fine dei tempi. Dal canto loro i Maya avevano già sentenziato molti anni prima che in corrispondenza della fine del 13esimo ciclo del loro calendario, individuata nel giorno 21 dicembre 2012, sarebbe accaduto un qualcosa di talmente epico da produrre una discontinuità nella storia. E io ragazzina poco sveglia e immensamente affascinata dal mistero aspettavo invano che qualcosa accadesse, mentre scommettevo sull’avvenimento con tutti i miei amici in chat sdraiata sul comodo divano di casa mia.

Come ben sapete il mondo non è finito, la terra non si è spezzata in due e purtroppo nessun pazzo è sceso nelle piazze dichiarando di sapere trasformare l’acqua in vino (ripeto, purtroppo). Qualcosa però è successo, quella famosa discontinuità storica raccontata dai Maya è concretamente avvenuta. Infatti l’anno 2000 non rappresenta solo la fine di un millennio, ma soprattutto la tragica fine delle teorie classiche di gestione aziendale.

Torniamo un po’ più indietro.

Dopo l’esplosione della società del benessere iniziata con gli anni ’50 le imprese hanno iniziato una corsa forsennata focalizzata su un unico obiettivo di impresa: il profitto. I manager non sapevano più dove andare a sbattere la testa per massimizzare i profitti e presero la decisione di rifugiarsi nel loro caro amico capitalismo. La parola “delocalizzazione” era ripetuta come un mantra e significava “manodopera a basso costo nei paesi in via di sviluppo”. A tutto questo si aggiunsero le mode a portare nelle menti delle persone, e quindi nelle mission delle imprese, rigidi canoni di standardizzazione per prodotti e servizi.

I mercati erano talmente saturi e omogenei da spingere la giornalista canadese Naomi Klein a scrivere “No Logo”, una raffinata analisi, ma allo stesso tempo un’asprissima critica della situazione nei mercati che vi ho spiegato prima. Il saggio ebbe un successo straordinario, convincendo moltissime aziende a cambiare piano di azione. I nuovi obiettivi erano la sostenibilità, la reputazione, la differenziazione e più in generale tutto ciò che confluiva attorno al concetto di valore dell’impresa.

 

Vi faccio un esempio. La pubblicità di Dash che passava al Carosello “Dash lava così bianco che più bianco non si può” è un format impensabile per i mercati attuali. Dash aveva un modello di pubblicità che si concentra sulla caratteristica intrinseca del prodotto, ovvero il fatto di rendere puliti i panni bianchi. Esattamente come la miriade di altri detersivi presenti sul mercato posti sugli scaffali come soldatini pronti all’attacco. Proprio dall’ambito di guerra infatti proviene la parola target, che significa “bersaglio”. Il consumatore era considerato erroneamente come un bersaglio passivo da centrare.

 

 

Oggi tutto è cambiato.

I prodotti non coprono più un gap di mercato, abbiamo già sviluppano quasi tutte le soluzioni possibili ai nostri bisogni. Quindi le imprese per sopravvivere hanno bisogno di differenziarsi e puntare alla creazione di un valore estrinseco del prodotto. Devono creare un discorso intorno alla marca perché il consumatore moderno acquista il perché dell’azienda, la sua visione del mondo e la storia in cui è permeato l’oggetto o il servizio venduto.

La programmazione neurolinguistica investe nell’idea che ci sia una connessione tra processi cognitivi, il linguaggio e i modelli comportamentali delle persone. Sulla base di questo filone di studi si è definito come strumento migliore per la call to action (ovvero la vendita) lo storytelling, che corrisponde ad una tendenza innata e allo stesso tempo un bisogno delle persone: creare, vivere e raccontare storie.

Lo storytelling è uno strumento molto potente utilizzato in ambito politico, scolastico, psicologico e “last but not least” nella comunicazione di marketing. Gli storyteller diventano creatori di mondi in cui il consumatore è accompagnato passo dopo passo e dove il prodotto viene investito da un significato profondo.

 

John Lewis, una catena di store inglesi, è una grandissima fonte di ispirazione per gli storyteller e un esempio di quanto questa arte possa far arrivare la marca al cuore delle persone. Dal 2011 il brand inizia a produrre in occasione di ogni Natale un video storytelling, ognuno dei quali viene realizzato con grande professionalità. I video natalizi di JL sono diventati talmente famosi da rappresentare ora una tradizione: non è natale senza John Lewis.

Tutti i video presentano tratti comuni:

Il focus non è il prodotto: non è presente un richiamo diretto ai prodotti che offre l’azienda, né una chiara sponsorizzazione del logo, il quale è visibile solamente alla fine del video. Il focus diventa la storia e le vicende dei personaggi.

 

 

  • Emozione e sentimento: l’obbiettivo per ogni impresa è sempre e comunque la vendita, ma in questo caso viene camuffato ad arte tramite una storia che tocca il cuore delle persone. JL prende per mano lo spettatore e lo accompagna dentro questo mondo magico in cui il focus è sempre l’umanità delle persone.

 

 

  • Trama della storia: come ogni storytelling che si rispetti i video di John Lewis presentano i caratteri tipici delle storie: c’è un protagonista, un antagonista, un aiutante e un desiderio che muove l’azione. Infatti la forza dei suoi video non sta nella complessità delle storie, ma nella loro semplicità. La stessa semplicità che rende possibile alle persone di riconoscersi in essa.

  • Temi Mainstream: JL non racconta un'unica storia e non racconta pregiudizi, ma racconta storie di vita di persone differenti, di colori differenti e di estrazioni sociali differenti. Racconta del mondo nelle sue varie sfaccettature e per farlo ricorre a temi Mainstream. Usa script convenzionali come il rapporto realtà-fantasia (Buster the Boxer 2016), uomo-donna (The Journey 2012) e il rapporto tra fatica-vittoria (Elton John Lewis 2018).

 

 

  • Atmosfera e contesto: nei video di JL sono presenti richiami più o meno espliciti al contesto storico, a fatti o personaggi. Le canzoni sono quasi sempre cover di canzoni dei big della musica o canzoni di tendenza. Anche i temi utilizzati sono spesso argomenti trattati dall’attualità: nel video “Man on the Moon” si parla della Luna proprio perché in quell’anno la Russia annunciava di voler rilanciare un uomo sul pianeta per creare una base permanente. O ancora, il video di quest’anno “Elton John Lewis” è stato ispirato dall’uscita del film biografico dei Queen.

 

 

Man on the Moon” è per me un capolavoro. È la storia di una bambina che usando il telescopio di famiglia scopre che un uomo abita sulla Luna. Osservandolo più attentamente capisce che l’uomo si sente solo, decide quindi di regalargli qualcosa per Natale per fargli capire che è in compagnia. Gli recapita quindi un telescopio, affinché lui possa usarlo per vedere il mondo. La magnifica voce di Aurora, una cantante norvegese appena maggiorenne, ci accompagna per tutto il video regalandoci una commovente cover di “Half a World Away” degli Oasis. Il video è quindi un mix tra suoni, primi piani e gesti inaspettati che sono sicura vi faranno scendere una lacrimuccia.

 

Oltre ad altri esempi ben riusciti di storytelling tra cui Miu Miu con “Women’s Tale” e Kenzo con “The Realest Real”, anche l’Italia sta cercando di allinearsi con questa tendenza e posso dire che è sulla buona strada. L’azienda Wind nel 2014 ha prodotto “Papà”, un video storytelling in cui il prodotto non solo non è sponsorizzato, ma quasi si disincentiva l’utilizzo della tecnologia nella comunicazione. Parla di un ragazzo che riflette sul modo migliore per comunicare con suo padre: pensa al messaggio, alle chiamate o e-mail. Capisce che alla fine la soluzione è dimenticarsi della tecnologia, mettersi in macchina e andare fisicamente a trovarlo. Il video è formato da un mix tra flashback e flashforward che ti tengono incollati allo schermo per vedere come finisce la storia tra padre e figlio (altro tema Mainstream). Wind inserendo la marca in un discorso molto più grande, ovvero la dipendenza da telefono, ha comunque ottenuto un ritorno di immagine nonostante non abbia messo in primo piano i suoi servizi.

 

Queste esperienze tracciano un quadro ben delineato per la comunicazione di marca nella nuova tipologia di mercato. Emozioni, emozioni e ancora emozioni: l’appeal sul consumatore diventerà il nuovo mantra e tutto si focalizzerà sullo sviluppo del discorso di marca. Tutte le più importanti marche si stanno infatti muovendo su questo tipo di percorso e stanno provando a raccontarsi tramite storie. Si raccontano storie della tradizione, storie di missioni, ma soprattutto storie delle persone che vivono dentro e fuori l’azienda. La storia ha il vantaggio di creare fiducia, che a sua volta è l’espediente psicologico della fedeltà. Così facendo ne conseguirà anche un aumento dell’awareness da parte dei pubblici: insomma, tutto di guadagnato.

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